luni, 23 decembrie 2013

Quell'anno morì colui che regnava a est del mio impero. Colui che io avevo aspramente combattuto, comprendendo dopo tante lotte che mi appoggiavo a lui come a un muro. Ricordo ancora i nostri incontri. Si piantava nel deserto una tenda color porpora, che rimaneva vuota, e noi ci recavamo entrambi sotto questa, mentre i nostri eserciti restavano separati poiché è pericolosa la mescolanza degli uomini. La folla vive solo nel suo ventre. Tutte le dorature si scrostano. Così essi ci guardavano con invidia e siccome facevano assegnamento sulle loro armi non si lasciavano prendere da una facile commozione. Aveva ragione mio padre quando diceva: <<Non devi incontrare l'uomo in superficie ma al settimo piano della sua anima, del suo cuore e della sua mente. Altrimenti se vi cercherete negli impulsi più volgari, finirete per versare sangue inutilmente >>.


Perciò io l'avevo compreso e lo incontravo disarmato e murato in un triplice bastione di solitudine. Ci sedevamo sulla sabbia, l'uno di fronte all'altra. Non so chi di noi due fosse allora il più potente. Ma in quella solitudine sacra la potenza diveniva moderazione. Poiché le nostre gesta scuotevano il mondo, ma noi le moderavamo. Discutevamo allora di pascoli << Ho venticinque mila bestie che muoiono di sete >>, diceva. << Dalle tue parti è piovuto >>.
Ma io non potevo tollerare che portassero da noi le loro usanze straniere e il dubbio che fa marcire. Come potevo accogliere nelle mie terre quei pastori di un altro universo? E gli rispondevo: <<Ho venti-cinque mila bambini che devono imparare le loro preghiere e non quelle altrui, perché altrimenti non avranno forma...>>. E le armi decidevano le controversie tra i nostri popoli. Noi eravamo simili a due maree che vanno e vengono. E se nessuno di noi avanzava, benché premessimo con tutte le nostre forze contro l'avversario, ciò significava che eravamo all'apogeo, avendo rafforzato il nostro nemico con la sua sconfitta. << Tu mi hai vinto, perciò sono io il più forte>>. 

Non che io disprezzassi la sua grandezza, né i giardini pensili della sua capitale, né i profumi dei suoi mercanti, né la fine oreficeria dei suoi cesellatori, né le sue grandi dighe per le acque. L'uomo inferiore inventa il disprezzo, perché la sua verità esclude le altre.
Ma noi che sapevamo ce le verità coesistono, non pensavamo certo di sminuirci riconoscendo quella dell'altro, benché essa fosse il nostro errore. Il melo, che io sappia, non disprezza la vite, né la palma il cedro. Ognuno si aggrappa al più forte, ma non confonde le proprie radici. E salva così la sua forma e la sua essenza poiché si tratta di un capitale inestimabile che non si deve imbastardire. 
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